Non è fuori posto prendere in prestito da Papa Francesco quel “fate rumore” in nome di una dignità del lavoro sempre più lontana dalle intenzioni con le quali la maggioranza di governo intende portare avanti la sua linea di ripresa economica. La mobilitazione del primo aprile paradossalmente ha ricevuto semmai proprio dal varo del nuovo codice degli appalti ulteriori motivazioni per dimostrare la sua necessità.
Siamo arrivati a dover fare i conti con le risultanze di uno scriteriato liberismo degli appalti che fra l’altro fa storcere la bocca anche alla parte più avveduta dell’imprenditoria di settore. I rischi sono elevati, il governo ha tutto il tempo per rettificare il tiro del provvedimento e toccherà comunque al Parlamento discutere a fondo quel che non va del nuovo codice. È quindi sacrosanto levare la nostra voce critica, il nostro forte dissenso, ma anche le nostre alternative proposte non da oggi.
In realtà vi è di più e riguarda scelte che non favoriranno la crescita, bensì le clientele, amplieranno le possibilità di eludere le tutele contrattuali, creeranno le condizioni per picconare la prevenzione e la formazione indispensabili per fermare le morti e gli incidenti gravi sul lavoro.
L’economia del Paese ha bisogno di altro: uscire dalla confusione e ritrovare una direzione di marcia nella quale il settore edile sia, come deve essere, decisivo per garantire la crescita ed i diritti allo stesso tempo.
Ci siamo battuti per ottenere modifiche al superbonus ma non la sua sparizione che avrebbe ricacciato indietro i timidi ma importanti passi di ripresa, ma per tutta risposta ci troviamo a dovere respingere una controriforma degli appalti che peggiora non solo l’esistente ma le prospettive.
La mobilitazione del primo aprile è improntata ad una proposta che guarda avanti, al lavoro, alla sua qualità, alla sua sicurezza. È perfino offensivo il modo elusivo con cui la maggioranza di governo ha evitato accuratamente di valutare le nostre richieste.
Se si ha il timore, fondato, di una possibile stagnazione economica da evitare non è certo con l’adozione di criteri da giungla selvaggia che si potranno ottenere risultati utili. Si inneggia alla libertà di impresa…ma è falso. In realtà si pongono le basi per una moltiplicazione di esperienze che hanno frantumato il nostro apparato industriale a favore del lavoro irregolare e di attività avviate spesso senza competenza e senza vero spirito imprenditoriale. Se si vuole che sia questo il futuro industriale del Paese, va detto chiaramente, ci si assume una grave responsabilità ed il movimento sindacale ha tutto il diritto non solo di dissociarsi ma di impegnarsi a fondo perché non si imbocchi questo percorso.
Perché oggi c’è di mezzo il futuro del settore delle costruzioni, ma inutile negare che quel metodo di un liberismo purchessia non potrà che espandersi nel resto della nostra vita economica e ne sanno qualcosa i commercianti con l’ipotesi dei saldi “liberi”.
Il dubbio legittimo a questo punto è quello di temere che la politica economica di oggi sia improntata ancora una volta ad approssimazione, esigenza di consenso immediato, nessuna idea di un futuro da realizzare nell’interesse del Paese 3e del lavoro. Un dubbio che il primo aprile va fugato in un solo senso: quello di tornare ad affrontare le prospettive del settore con un confronto serio, concreto, capace di accantonare scorciatoie che conducono non all’obiettivo ma alla negazione di uno sviluppo ordinato e rispettoso del valore lavoro.
La strada indicata finora non porta da alcuna parte, ci fa indietreggiare, mettendo in forse tutele che noi consideriamo intoccabili. Del resto, sia la riforma del superbonus che il nuovo codice degli appalti dovevano far parte di una sorta di progetto più complessivo che con le risorse del Pnrr via via avrebbe dovuto prendere il largo verso una risistemazione del Paese: dai problemi della messa in sicurezza a quelli delle periferie, a quelli della transizione ecologica, a quelli della riorganizzazione degli assetti scolastici alle infrastrutture digitali e del sistema dei trasporti. Non si può compiere uno sforzo di tali proporzioni, essenziale per il nostro futuro, con qualche manciata di bislacco liberismo. Anche perché in tal modo si mettono in mora conquiste contrattuali importanti sia dal punto di vista della attuazione delle norme contrattuali, che da quello della sicurezza, che da quello della formazione e della realizzazione di quelle professionalità che servono al nostro settore.
Siamo convinti di aver fatto più che bene a chiamare i lavoratori del nostro settore ancora una volta a far sentire la loro voce. Lo facciamo in piena autonomia che nessuno può strumentalizzare, con le nostre proposte, con la convinzione che siamo ad un punto di svolta che può portare ad una pericolosa involuzione che dobbiamo fermare.
Ci sono altri modi per garantire al settore edile lavoro e futuro. Questi modi sono praticabili, basta non inseguire un consenso immediato, peraltro, tutto da verificare e ritrovare la strada della discussione con le forze sociali. Si apre una stagione che potrà essere di realizzazioni utili o di lotte per impedire soprusi e umiliazioni del lavoro. Noi siamo decisamente per la prima opzione e la porteremo avanti con coerenza e decisione.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio