Congelare gli ovuli a spese dell’azienda per permettere alle donne che lavorano di concentrarsi sulla carriera, come i propri omologhi maschi, rimandando al futuro la possibilità di fare figli: questa l’ultima frontiera dei benefit aziendali proposti alle aspiranti manager dai colossi informatici della Silicon Valley come Apple, Facebook e Google.
Uno scherzetto non da poco, se si considera che per conciliare carriera e maternità con discrete possibilità di successo gli esperti suggeriscono di congelare almeno 18-20 ovuli.
Per farlo, servono due cicli di raccolta che costano da 7 a 12mila dollari l’uno.
Congelare gli ovuli a spese dell’azienda per permettere alle donne che lavorano di concentrarsi sulla carriera, come i propri omologhi maschi, rimandando al futuro la possibilità di fare figli: questa l’ultima frontiera dei benefit aziendali proposti alle aspiranti manager dai colossi informatici della Silicon Valley come Apple, Facebook e Google.
Uno scherzetto non da poco, se si considera che per conciliare carriera e maternità con discrete possibilità di successo gli esperti suggeriscono di congelare almeno 18-20 ovuli.
Per farlo, servono due cicli di raccolta che costano da 7 a 12mila dollari l’uno, a cui vanno aggiunte le tariffe per la conservazione in azoto liquido, che vanno da 500 a 3-4mila dollari l’anno. Una procedura evidentemente non per tutte le tasche.
Ma se di questi costi si fa carico la propria azienda l’opzione di rinviare a tempo indeterminato la maternità diventa più abbordabile, o forse per qualcuna addirittura appetibile. Così se da questa parte del mondo, con magnifiche sorti e progressive al seguito, per cambiare le regole delle (im)pari opportunità ci eravamo abituati al drastico calo della natalità e a primipare ben oltre i trenta, i tempi sembrano maturi per familiarizzare con la figura della mamma-nonna, destino a quanto pare riservato allo sparuto gruppo di donne ai vertici. Niente paura però: per tutte le altre l’orizzonte di riferimento continuerà ad essere rappresentato da precarietà lavorativa costante, minori opportunità di carriera e stipendi sistematicamente più bassi dei propri colleghi maschi.
Come dire: dalla padella alla brace! Se infatti il modello fordista o keynesiano dei Paesi ricchi occidentali includeva le donne confinandole anzitutto al ruolo di madri, con la famiglia che si reggeva sul salario del marito, la nuova forma di capitalismo neoliberista non vuole le donne a casa come madri full time. Al contrario, le vuole lavoratici ma eternamente precarie e con stipendi bassi. Da un modello di svantaggio ad un altro modello di svantaggio.
Il modello neoliberista si spinge però un pò più avanti, perché, come ben dimostrano i nuovi benefit, supera l’obiettivo di adattare la famiglia all’agenda aziendale, proponendosi piuttosto di sottomettere direttamente la biologia agli interessi delle corporation. Le politiche dell’austerità offrono in questo senso un contributo sostanziale, perché destrutturando pezzo per pezzo i sistemi di welfare, prosciugano strumenti e canali a sostegno delle madri lavoratrici, soprattutto di quelle con salari bassi.
Seguendo la sirena neoliberista anche l’Unione europea sta abdicando da questo punto di vista alla possibilità di realizzare una democrazia sociale transnazionale. La studiosa Nancy Fraser, nota in Italia per le sue riflessioni sul tema della giustizia sociale, sostiene nel suo ultimo saggio che la lotta delle donne, in virtù dei temi su cui si è concentrata – identità, corpo e conquista dei vertici sociali – sia stata pienamente cooptata dal neoliberismo in un tempo in cui c’è quanto mai bisogno di democrazia e di parità tra i generi. Secondo la studiosa, l’unica possibilità di salvezza consisterebbe nell’abbandonare l’ossessione individualista per recuperare il concetto e la pratica della solidarietà.
Di fatto, il medesimo processo che sarebbe necessario nel mondo del lavoro, dal quale si sta tentando di spazzare via diritti, sindacati e statuto dei lavoratori, in casa nostra come altrove. Bentornata solidarietà, ma la storia insegna che le disparità di genere sono vecchie quanto il mondo, più assolute e radicate di qualunque modello economico, transitorio per sua stessa natura, diffuse e sedimentate in molteplici e differenti contesti socio-culturali.
Non vi è dunque alcuna certezza che la solidarietà possa bastare, così come non è evidentemente bastato l’individualismo. Cosa fare dunque? Se è vero che non esistono ricette facili o valide ad ogni latitudine, è parimenti certo che rifiutare ciò che è semplicemente aberrante possa apportare giovamento. Non è ancora chiaro se il neoliberismo uscirà danneggiato o meno dalla profonda crisi economica che stiamo attraversando: con ogni probabilità riuscirà paradossalmente a trasformarla in opportunità di profitto.
Ma la stabilità del neoliberismo come regime di lungo periodo è tutta da provare, se si considera che il peggioramento delle condizioni di vita emergerà con sempre più prepotenza, coinvolgendo fasce crescenti della popolazione dei Paesi ricchi fino a ieri.
Un passo (indietro) così importante sulla questione di genere in questo momento potrebbe pertanto rivelarsi fatale e difficile da recuperare in seguito. Nuovi benefit?
No grazie.
Ilenia L. Di Dio