Strano Paese il nostro: le più recenti analisi descrivono ora il lavoro a termine come vero e ”promettente” lavoro e non, come talvolta accade, anche come possibile ricettacolo di precarietà senza diritti e lavoro irregolare. Non è così che si ristabilisce la giusta centralità del lavoro in questa tremenda crisi. Anche perché nel frattempo non ci si cura di affrontare di petto un problema ancora più concreto come è quello della giungla salariale che si estende trasversalmente nel mercato del lavoro ed è una delle cause delle basse retribuzioni. Su questo secondo versante i sindacati edili hanno deciso di non mollare ed il problema sarà oggetto con tutti gli altri della discussione sulla piattaforma contrattuale che verrà presentata alle controparti. Il nostro contratto di categoria, è bene ricordarlo, scade nel giugno di quest’anno.
Ma il problema centrale rimane quello di riapprodare a condizioni di normalità che rendano possibile il ritorno al lavoro in grande scala e, con esso, ad un percorso di crescita reale.
La capacità di resistenza del nostro settore ci permette di affermare che, malgrado le grandi difficoltà e i ritardi accumulati negli ultimi anni dai Governi, qualcosa si muove, a partire da questi ultimi due mesi. Noi lo notiamo subito dall’andamento delle casse edili. Nel Lazio si registrano miglioramenti nei versamenti che indicano un qualche risveglio di attività produttive. Non è quello sperato, si tratta spesso di piccoli lavori privati, ma almeno questi timidi segnali positivi danno più forza alla nostra richiesta di accelerare i sostegni alla produzione e di riaprire, là dove è possibile, i cantieri delle opere pubbliche che languono da troppo tempo o non sono ancora partite.
Anche in questo caso dobbiamo registrare qualche apertura dall’assessorato regionale: là dove è stato definito il commissario per le opere pubbliche, i lavori dovrebbero partire o ripartire al più presto anche in vista del giubileo del 2025. Un volano a disposizione del settore che, se le assicurazioni corrisponderanno alla realtà dei fatti, potrebbe avere un benefico effetto di volano sull’economia della regione.
Infine, qualche accenno di minor pessimismo viene anche dal settore dei cementieri che comunicano un qualche incremento dell’attività.
È un trend sufficiente a recuperare fiducia ed ottimismo? Naturalmente siamo ancora lontani da un auspicabile cambio di marcia. Vale la pena di ribadire che tornare a crescere sul piano economico e sociale per il nostro modo di fare sindacato vuol dire mettere in campo progetti di sostanza ben maggiore, come la messa in sicurezza dei territori, la rigenerazione urbana, la modernizzazione del sistema scolastico, la manutenzione dell’enorme patrimonio archeologico ed artistico della nostra regione e così via.
Ma occorre tornare a lavorare, a creare reddito, ad evitare chiusure di imprese ed il dramma dei licenziamenti. Ed ogni spiraglio in questa direzione va colto e rafforzato.
Ma c’è un ma: si chiama Roma. In città invece tutto tace sul piano dei progetti e delle opere pubbliche. Non c’è confronto, non c’è un tavolo continuativo per affrontare i problemi aperti, non ci sono novità su questioni vitali per il miglioramento della vita cittadina. Pensiamo all’anello ferroviario, al ridimensionamento della metro C, alle occasioni perdute dalle Olimpiadi allo Stadio della Roma. Un’inerzia che preoccupa anche perché denota la mancanza di volontà di ragionare sul serio con le forze sociali sul futuro di Roma. L’attenzione è tutta dedicata agli slogan preelettorali. Ed è una deriva che non può non preoccupare. Servirebbe almeno più chiarezza sulle reali intenzioni del Comune e sulle proposte, se ci sono, delle forze politiche. Ma questa consapevolezza non emerge ed è un motivo in più per rafforzare la nostra iniziativa sindacale. Roma è la città “eterna” non una città che può attendere “in eterno”.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio