Dopo 100 giorni basta con l’immobilismo
Non doveva certo essere l’Europa uscita dal voto di maggio a ricordarci che la situazione economica del Paese è peggiorata. Lo si coglie da fin troppi sintomi che in particolare riguardano il nostro settore delle costruzioni in perenne attesa che qualcosa si muova.
E stride il contrasto fra la difesa ad oltranza nelle ormai logore bandiere del reddito di cittadinanza e di quota 100 da parte della maggioranza giallo-verde che protegge i risparmi di spesa emersi con le unghie e con i denti e l’incapacità a spendere altre risorse che ci sono per muovere l’economia, a cominciare dalle decisioni che ritardano in modo colpevole il fantomatico decreto sblocca cantieri.
Da un esame delle prospettive sul versante delle costruzioni non possiamo che ricavare una fortissima delusione. Se il decreto verrà approvato sarà dopo compromessi che indeboliranno le sue possibilità di intervento, non potrà che essere da noi criticato con energia su quelle norme che favoriranno il subappalto senza regole; i rischi crescenti di lavoro irregolare, la concentrazione di poche opere fattibili in alcune aree del nord con danni enormi per l’attività di settore nel centro e nel sud.
E neanche un mago dalle riconosciute qualità profetiche potrà mai scoprire quando gli interventi promessi potranno diventare opere cantierabili.
Continuiamo a sostenere che la ripresa della crescita non potrà che manifestarsi solo quanto il settore edile ritroverà slancio, investimenti, decisioni concrete e diffuse nel territorio e nel corso degli anni. Ma testardamente tutto continua ad essere ignorato.
Diffidiamo di grandi cifre e di immaginifici scenari, ma è chiaro che la situazione dell’Italia esige progetti di ampia portata in varie direzioni, dalla messa in sicurezza dei territori, al riequilibrio ambientale, alla rigenerazione urbana. Se questi sono alcuni dei punti nodali della ripresa del settore ed economica in più larga scala, allora c’è da chiedersi se le schermaglie e i litigi nel governo di questi tempi siano all’altezza dei problemi che vanno affrontati. La risposta non può che essere negativa.
Chiediamoci anche se la crisi del nostro settore senza fine non abbia conseguenze anche sul più ampio disagio sociale che si coglie nel Paese. Gli ultimi dati sull’occupazione dell’Istat ci segnalano ancora una volta uno scenario di profonda crisi: i giovani hanno difficoltà a trovare lavoro; i lavoratori fra i 30 e i 50 anni si portano dietro le conseguenze negative delle ristrutturazioni per crisi aziendali, mentre tornano ad aumentare gli ultra cinquantenni proprio come quando si gettava la colpa di questo artificioso rigonfiamento occupazionale alla legge Fornero che impediva a tanti dipendenti di andare in pensione. Siamo un Paese che assomma molte ed inquietanti caratteristiche negative: isolato in Europa, in crisi in settori come il nostro che un tempo erano un volano decisivo per la crescita, logorato nel suo apparato industriale in continuazione, sottoposto a stress sociali come le diseguaglianze a vario titolo che non accennano a diminuire.
Certo il movimento sindacale non deve mollare la presa, oggi più che mai. Ma è da febbraio che abbiamo scosso il Paese con manifestazioni di ogni tipo: dalla grande iniziativa degli edili a Roma in marzo, fino a quella recente dei pensionati a Piazza del Popolo, mentre si profilano altre manifestazioni da quella del pubblico impiego a Roma di domani a quella di Napoli dei metalmeccanici. Per continuare poi il 22 giugno a Reggio Calabria con una grande manifestazione nazionale. La sordità di questo Governo è francamente inspiegabile di fronte ad un mondo del lavoro che con sacrificio ma anche con grande decisione reclama una svolta di politica economica e sociale profonda e tempestiva. Non si può affermare infatti che il movimento sindacale è rimasto alla finestra o si è limitato a seguire le mode dei social, né tantomeno si è seduto in poltrona ad osservare i dibattiti televisivi nei talk-show. Come sempre ci siamo presi le nostre responsabilità, abbiamo indicato proposte e scelte precise, abbiamo coinvolto migliaia e migliaia di lavoratori fino a poter dire senza tema di smentita che coloro che sono arrivati in piazza a sostenere le proposte sindacali erano ben coscienti e solidali con quanto si chiedeva e con quanto si chiederà in futuro.
Ma la nostra preoccupazione è ancora più viva perché questo immobilismo litigioso ed inconcludente rischia di procurare nuovi danni e nuove crisi a Roma. Senza entrare nel merito è evidente che il salva-Roma diventato ora salva-tutti perderà di efficacia e di tempestività, probabilmente facendo anche svaporare le promesse circa ipotetici vantaggi fiscali per la popolazione romana e le sue imprese. L’economia romana sembra diventata un argomento tabù per il governo della città. Non c’è un tavolo di confronto degno di questo nome mentre si corre il pericolo di svuotare ulteriormente il bacino di attività economiche che si svolgono nella nostra realtà metropolitana. Il degrado che fa da cornice a questa inerzia completa uno scenario fallimentare, dai trasporti ai rifiuti.
Ecco perché siamo convinti che c’è un ruolo fondamentale del Sindacato ( con la esse maiuscola) nel rivendicare la fine di questa deriva incalzando politica ed Istituzioni e spingendo tutti a fare i conti con le proprie responsabilità. Ecco perché dopo 100 giorni dalla manifestazione di Feneal, Filca e Fillea di marzo a Roma le nostre rivendicazioni hanno tuttora il valore di una svolta che serve per ridare a Roma ed al Paese una speranza. Viva la Feneal.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio