Il caldo estivo sta mettendo a dura prova il lavoro. Aumentano i rischi per lavoratrici e lavoratori che mandano avanti l’economia, impedendo che anche le condizioni della stagione producano una flessione delle attività produttive e nei servizi.
E’ necessaria prudenza però per non allungare ancora la dolorosa sequenza di infortuni sul lavoro. L’allerta deve rimanere alta. Gli strumenti per impedire danni alla salute ci sono, diritti da esercitare anche. Non dimentichiamo che i datori di lavoro non possono sfuggire al dovere di discutere con sindacati e lavoratori variazioni sulla organizzazione del lavoro, specialmente in situazioni nelle quali il calore è più forte e pericoloso nei suoi effetti. Non si deve tralasciare il ricorso a pause più frequenti: è diritto del lavoratore, quando non si sente sicuro, fermarsi e fare presente il disagio che crea difficoltà. Così come i lavoratori debbono essere messi in grado di soccorrere i compagni che sono colpiti da malore. Perché ricordare queste indicazioni ed altre se potrebbero aggiungere? Perché non è accettabile che lo sfruttamento del lavoro già in agguato in periodi normali, finisca per aggravare i livelli di pericolo già consistenti: non si può andare e lavorare, rischiando di sentirsi male o, peggio, di morire a causa di un caldo insopportabile.
Il caldo “naturale” finirà, ma quello dovuto alla temperatura sociale invece potrebbe rimanere alto in prospettiva. L’agenda che racchiude i temi dai quali dipende la crescita economica ed il lavoro si dilata di opportunità mancate e problemi irrisolti. Non va bene.
Consideriamo la situazione che si è creata nel Lazio e a Roma. Sui lavori riguardanti il Giubileo e sulle risorse del Pnnr da utilizzare nel nostro settore delle costruzioni l’amministrazione capitolina non ha ancora mostrato alcuna volontà di confronto con le organizzazioni sindacali edili.
Siamo ancora in attesa di un tavolo sul quale discutere delle prospettive. Sarebbe un grave errore ritornare a quel metodo nefasto secondo il quale la politica sceglie e decide in regime di autoreferenzialità. Un ritorno al passato che è anche responsabile, non lo si dimentichi, di un peggioramento delle attività produttive e delle condizioni di lavoro.
Il dubbio che si è esposto per Roma può essere trasferito parir pari nelle Regione. Recentemente il Presidente della Regione ha illustrato i lavori da compiere nella edilizia sanitaria. La direzione sembra essere quella giusta, ma l’aver ignorato le organizzazioni sindacali va viceversa in quella sbagliata. Davvero si può pensare che un progetto di tale portata possa essere messo in essere senza ragionare prima sulle questioni che riguardano il lavoro: il problema della sicurezza, quello della legalità, quello dei subappalti, quello contrattuale, quello della formazione e dell’avviamento al lavoro. La sottovalutazione dell’interlocutore sindacale non può essere accettata in quanto finisce per rendere ancora più complessi problemi sui quali invece occorrerebbe una ricognizione accurata e preventiva.
Il sistema di relazioni industriali rimane così sulla carta, ovvero lettera morta. È inaccettabile, va corretto al più presto questo atteggiamento che contraddice con la disponibilità sindacale a partecipare, sia pure in piena autonomia e con capacità di proposta, ai passaggi più importanti che riguardano il mondo del lavoro.
Crescita economica deve voler dire anche migliore qualità della civiltà del lavoro. Sono i due pilastri che possono consentire uno sviluppo che tenga conto della dignità del lavoro, garantendo anche così la efficienza del sistema economico e produttivo. E per quanto ci riguarda saremo in campo con l’obiettivo di ricordare che è questo il percorso da fare, la tentazione di imboccare scorciatoie va invece abbandonata.
Giovanni (Agostino) Calcagno
Segretario generale Feneal Uil Roma e Lazio