Le recenti indagini «Mafia Capitale» e «Camorra Capitale» sanciscono in via definitiva la presenza di un sistema ramificato di criminalità e malaffare nella città di Roma. Un sistema diffuso che l'Associazione Libera già anni addietro aveva denunciato come "quinta mafia", ovvero un esplosivo mix tra politici compiacenti e delinquenza, autoctona e d'importazione. Indagini a parte, è sufficiente leggere i titoli di quotidiani locali per scoprire almeno un morto alla settimana vittima di faide tra bande o peggio tra clan; guardarsi attorno per scorgere ciò che resta di locali ed automobili andati misteriosamente in fiamme; camminare per strada per avvertire un senso di impotenza e cronica insicurezza; partecipare ad una qualunque gara per conoscere con largo anticipo chi saranno i vincitori, si tratti di società o di privati cittadini.
Ciononostante, difficile a credersi, a Roma e nel Lazio sono ancora in molti a credere che la mafia, o meglio le mafie, siano comunque un problema endemico di altre aree d'Italia, un problema distante, sconosciuto. Poco importa poi se il Lazio, solo per fare un esempio, si piazza tra le prime regioni d'Italia per reati ambientali.
"E' delinquenza spicciola, di strada" rassicuravano dalla precedente amministrazione capitolina ed anche in questi giorni, in occasione dei numerosi arresti a seguito delle recenti inchieste, ferve il dibattito per definire se si possa parlare effettivamente di mafia o di qualche altro genere di criminalità.
Le recenti indagini «Mafia Capitale» e «Camorra Capitale» sanciscono in via definitiva la presenza di un sistema ramificato di criminalità e malaffare nella città di Roma. Un sistema diffuso che l’Associazione Libera già anni addietro aveva denunciato come “quinta mafia”, ovvero un esplosivo mix tra politici compiacenti e delinquenza, autoctona e d’importazione. Indagini a parte, è sufficiente leggere i titoli di quotidiani locali per scoprire almeno un morto alla settimana vittima di faide tra bande o peggio tra clan; guardarsi attorno per scorgere ciò che resta di locali ed automobili andati misteriosamente in fiamme; camminare per strada per avvertire un senso di impotenza e cronica insicurezza; partecipare ad una qualunque gara per conoscere con largo anticipo chi saranno i vincitori, si tratti di società o di privati cittadini.
Ciononostante, difficile a credersi, a Roma e nel Lazio sono ancora in molti a credere che la mafia, o meglio le mafie, siano comunque un problema endemico di altre aree d’Italia, un problema distante, sconosciuto. Poco importa poi se il Lazio, solo per fare un esempio, si piazza tra le prime regioni d’Italia per reati ambientali.
“E’ delinquenza spicciola, di strada” rassicuravano dalla precedente amministrazione capitolina ed anche in questi giorni, in occasione dei numerosi arresti a seguito delle recenti inchieste, ferve il dibattito per definire se si possa parlare effettivamente di mafia o di qualche altro genere di criminalità.
Le recenti indagini «Mafia Capitale» e «Camorra Capitale» sanciscono in via definitiva la presenza di un sistema ramificato di criminalità e malaffare nella città di Roma. Un sistema diffuso che l’Associazione Libera già anni addietro aveva denunciato come “quinta mafia”, ovvero un esplosivo mix tra politici compiacenti e delinquenza, autoctona e d’importazione. Indagini a parte, è sufficiente leggere i titoli di quotidiani locali per scoprire almeno un morto alla settimana vittima di faide tra bande o peggio tra clan; guardarsi attorno per scorgere ciò che resta di locali ed automobili andati misteriosamente in fiamme; camminare per strada per avvertire un senso di impotenza e cronica insicurezza; partecipare ad una qualunque gara per conoscere con largo anticipo chi saranno i vincitori, si tratti di società o di privati cittadini.
Ciononostante, difficile a credersi, a Roma e nel Lazio sono ancora in molti a credere che la mafia, o meglio le mafie, siano comunque un problema endemico di altre aree d’Italia, un problema distante, sconosciuto. Poco importa poi se il Lazio, solo per fare un esempio, si piazza tra le prime regioni d’Italia per reati ambientali. “E’ delinquenza spicciola, di strada” rassicuravano dalla precedente amministrazione capitolina ed anche in questi giorni, in occasione dei numerosi arresti a seguito delle recenti inchieste, ferve il dibattito per definire se si possa parlare effettivamente di mafia o di qualche altro genere di criminalità. Quasi che etichettare fosse indispensabile ad assumerne consapevolezza, in assenza della quale prospera a gran velocità il malaffare. Ma la debole retorica dei distinguo si riduce a poca cosa se si assume che alla base del malaffare, di qualunque genere si tratti, vi sono sempre la sopraffazione, il sopruso e la negazione dei diritti.
Così nella vita di tutti i giorni che ci vede troppo spesso vittime inconsapevoli e carnefici colpevoli. Inconsapevoli delle tante, troppe scelte che quotidianamente operiamo senza fermarci a pensare, privilegiando prodotti, negozi e locali che si sostanziano della negazione dei diritti altrui vicini e lontani: diritti umani, sociali, dell’infanzia, ambientali, animali che fanno la prosperità della criminalità, organizzata e non. Ci scopriamo consapevoli in fondo della nostra inconsapevolezza, per mancanza d’informazione, di tempo, come anche di etica e di volontà. Ma preferiamo chiudere gli occhi. Carnefici colpevoli dell’indifferenza e del familismo amorale, che ci porta pensare che i nostri diritti e quelli dei nostri figli valgano più dei diritti altrui. Perché ci sentiamo migliori o più furbi, o pensiamo di meritarlo più degli altri, o più semplicemente perché degli altri ci importa poco o nulla, tanto sono lontani. Lontani per continente, per razza, per religione, per regione, per città, per quartiere, per scrivania. Nel familismo amorale prospera la weltanschauung italica della raccomandazione, quintessenza della negazione del diritto al merito. Nel familismo amorale riposa la radice prima dell’affiliazione, dal lobbismo senza regole fino ad arrivare ai clan.
Così nel lavoro, soprattutto nei settori più tradizionalmente esposti come l’edilizia, con la crisi che rende i lavoratori sempre più vulnerabili alla negazione dei propri diritti a tutto vantaggio di un esercizio abusivo e debordante dei diritti altrui. Il diritto a risparmiare sui costi schiaccia il diritto a lavorare in sicurezza, il diritto a lavorare, di qualunque genere di lavoro si tratti, schiaccia il diritto a lavorare in condizioni di regolarità.
Stretto all’angolo, il lavoratore si trova a costretto a cannibalizzare se stesso. Ma poiché la corsa alla prevaricazione sembra purtroppo destinata a non avere fine, ben presto anche le aziende, a partire da quelle virtuose, si trovano sopraffatte dalla concorrenza sleale e dal sempreverde regime di mazzette. Complice di questo perverso gioco al massacro della società e dell’economia romana e del Paese i tanti vuoti normativi che fanno il paio con un lacunoso sistema di vigilanza e controllo e con la cronica distrazione di fondi.
Per tornare all’edilizia, basti pensare al regime degli affidamenti di appalti e concessioni, ai danni generati dai massimi ribassi o ai disastri prodotti dall’ormai famigerata Legge Obiettivo sulle grandi opere. Sarà per questo che i recenti accordi siglati dalla Feneal e dagli altri sindacati delle costruzioni di Roma per garantire standard di tutela più elevati rispetto ai minimi di legge per le maestranze impegnate negli importanti lavori di restauro del Colosseo, o ancora per istituire una task force con le istituzioni e la polizia locale nell’area di Fiumicino a favore della legalità e della sicurezza nel sistema delle costruzioni stremato dalla crisi, suonano oggi come doppiamente importanti, perché tendono alla riaffermazione dei diritti e alla valorizzazione della legalità senza finti steccati e distinguo di sorta. La sopraffazione è sopraffazione e tanto basta. Poco importa se non si chiama mafia.
Ilenia L. Di Dio