“Evitate di venire a Roma se non per stretta necessità”, così il Prefetto Pecoraro che ha deciso di schierare l’esercito a Fiumicino per combattere i danni del maltempo. Un appello raggelante a dai mille significati a volerli cercare. La Capitale è in ginocchio, sott’acqua, il suo hinterland e l’intera regione non sono da meno.
Piove da Bolzano a Siracusa, l’Italia affonda tra neve e nubifragi. Si cercano le responsabilità, si contano i danni e le vittime, tra le quali, in Sicilia, anche una bambina di 7 anni che con i genitori tornava a casa nell’auto che sarebbe stata travolta dal fiume. Continua a piovere, il sole non si decide ad uscire.
La macchina dei media, puntuale come ogni volta, accende i riflettori e trite metafore: sguardo sul disastro, ennesima “catastrofe annunciata”. Politici, ingegneri, costruttori, urbanisti, un via vai di dichiarazioni e parole, ma basteranno due giorni di sereno a far calare il silenzio, ad archiviare l’argomento in attesa della prossima emergenza meteorologica. Rabbia, frustrazione, sconforto, ma in fondo non ci si potrebbe aspettare nulla di diverso perché è tutto già fin troppo noto, almeno per noi, ci sia concesso non senza malizia, che di edilizia ci occupiamo tutto il giorno, tutti i giorni. Sono i danni dell’uomo, non della natura.
“Evitate di venire a Roma se non per stretta necessità”, così il Prefetto Pecoraro che ha deciso di schierare l’esercito a Fiumicino per combattere i danni del maltempo. Un appello raggelante a dai mille significati a volerli cercare. La Capitale è in ginocchio, sott’acqua, il suo hinterland e l’intera regione non sono da meno.
Piove da Bolzano a Siracusa, l’Italia affonda tra neve e nubifragi. Si cercano le responsabilità, si contano i danni e le vittime, tra le quali, in Sicilia, anche una bambina di 7 anni che con i genitori tornava a casa nell’auto che sarebbe stata travolta dal fiume. Continua a piovere, il sole non si decide ad uscire.
La macchina dei media, puntuale come ogni volta, accende i riflettori e trite metafore: sguardo sul disastro, ennesima “catastrofe annunciata”. Politici, ingegneri, costruttori, urbanisti, un via vai di dichiarazioni e parole, ma basteranno due giorni di sereno a far calare il silenzio, ad archiviare l’argomento in attesa della prossima emergenza meteorologica. Rabbia, frustrazione, sconforto, ma in fondo non ci si potrebbe aspettare nulla di diverso perché è tutto già fin troppo noto, almeno per noi, ci sia concesso non senza malizia, che di edilizia ci occupiamo tutto il giorno, tutti i giorni. Sono i danni dell’uomo, non della natura.
Sulla pelle della terra, nelle sue viscere, nei modelli di sviluppo, urbano e non, da ripensare, interamente. Sono i danni dell’uomo anche sul clima, impazzito, stravolto a causa del riscaldamento globale che cambia l’andamento delle stagioni, le caratteristiche delle perturbazioni ed i loro percorsi. Dovremo aspettarci fenomeni sempre più violenti, ad alta intensità. Per un Paese morfologicamente complesso e fragile come l’Italia esiste una sola via d’uscita: si chiama prevenzione, perché la logica dell’emergenza non paga, e i soldi stanziati per soluzioni tampone (1 miliardo e 37 milioni di euro tra il dicembre 2009 e il giugno 2012) sono letteralmente soldi gettati nel fango.
Il cambiamento, anzitutto culturale, ci coinvolge tutti, deve riguardarci tutti, da vicino, molto da vicino. I vecchi sistemi cementificatori e speculativi hanno prodotto grandi danni e non reggono più, sono superati, insufficienti, oltremodo inattuali. Come sindacato territoriale dell’edilizia non perdiamo occasione di ricordarlo alla nostra controparte e a tutta la pletora di attori, istituzionali e non, con i quali siamo chiamati a confrontarci. Un confronto al quale non intendiamo sottrarci, purché improntato alla franchezza, lo diciamo chiaramente, e all’onestà intellettuale, merce sempre più rara. Tutto ciò vale doppiamente per una città complessa e difficile come Roma.
Servono un’edilizia di qualità sostenibile al passo con i tempi, un serio piano di riqualificazione del patrimonio esistente, un sistema puntuale di interventi mirati per la messa in sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico. Non esistono scorciatoie, palazzi e palazzinari hanno fatto il loro tempo. Ci rivolgiamo alle Istituzioni, all’imprenditoria sana che ha voglia di innovare, ai lavoratori cittadini che sentono il desiderio di immaginare e costruire un futuro possibile per la nostra città e per il nostro Paese.
Londra o Parigi non vanno in tilt per un nubifragio, per quanto violento: serve lo Stato perché la gente non può essere lasciata a se stessa ed al proprio senso di sopravvivenza, servono una visione ed un respiro europei. Per quanto ne sappiamo, non ci sono catastrofi o tragedie annunciate, tutto è evitabile, modificabile, plasmabile, basta volerlo, basta cominciare da qualche parte, anche dai piccoli, piccolissimi interventi manutentivi ordinari e straordinari, come la pulizia sistematica di tombini e caditoie. Bisogna definitivamente abbandonare il concetto dell’emergenza, gli inutili fardelli della rassegnazione, le vecchie e ormai inapplicabili certezze, altrimenti non ci resterà che il baratro.