Quale guerra?

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Camionette, sirene e fucili spianati, ovunque. Dopo gli ultimi folli e sanguinosi fatti di Parigi, Roma torna ad essere per un momento, triste e fatale, Capitale d’Italia e centro mondiale della cristianità, con il giubileo della misericordia alle porte.
La città si allinea alle misure di presidio e “militarizzazione” intraprese nelle capitali europee e grandi metropoli dell’Occidente, nelle quali si prova a convivere con la cappa pesante della consapevolezza, spingendo avanti l’ordinarietà di giorni che di normale hanno poco o nulla.
Paralleli e meridiani si schiacciano sul mappamondo che si scopre piccolo, dove le sorti degli altri, sempre meno lontani, ci riguardano molto da vicino: nello specifico, il depauperamento di interi Stati islamici, la barbarie del califfato, le grandi migrazioni di popoli in fuga. Se di guerra si tratta, a dispetto delle pur prevedibili reazioni di pancia, l’esercizio della ragione rimane l’unica pratica possibile.
Perché la guerra, questo è certo, non si combatte soltanto con bombe e munizioni, ma anche con opportune misure economiche, con armi politiche e culturali, con intelligence e strategia. In Francia Saint Danis si scopre «teatro di guerra» soltanto adesso.
Quanti Saint Danis della marginalità, del degrado e della mancata integrazione ci sono nella nostra città? Per quanto tempo ancora intendiamo ignorarli?

Quale guerra?

Camionette, sirene e fucili spianati, ovunque. Dopo gli ultimi folli e sanguinosi fatti di Parigi, Roma torna ad essere per un momento, triste e fatale, Capitale d’Italia e centro mondiale della cristianità, con il giubileo della misericordia alle porte.
La città si allinea alle misure di presidio e “militarizzazione” intraprese nelle capitali europee e grandi metropoli dell’Occidente, nelle quali si prova a convivere con la cappa pesante della consapevolezza, spingendo avanti l’ordinarietà di giorni che di normale hanno poco o nulla.
Paralleli e meridiani si schiacciano sul mappamondo che si scopre piccolo, dove le sorti degli altri, sempre meno lontani, ci riguardano molto da vicino: nello specifico, il depauperamento di interi Stati islamici, la barbarie del califfato, le grandi migrazioni di popoli in fuga. Se di guerra si tratta, a dispetto delle pur prevedibili reazioni di pancia, l’esercizio della ragione rimane l’unica pratica possibile.
Perché la guerra, questo è certo, non si combatte soltanto con bombe e munizioni, ma anche con opportune misure economiche, con armi politiche e culturali, con intelligence e strategia. In Francia Saint Danis si scopre «teatro di guerra» soltanto adesso.
Quanti Saint Danis della marginalità, del degrado e della mancata integrazione ci sono nella nostra città? Per quanto tempo ancora intendiamo ignorarli?
Proviamo a contarali assieme agli obiettivi sensibili, iniziamo con serietà ad includerli e bonificarli. Potrebbe rivelarsi un esercizio tutt’altro che retorico, né di destra né di sinistra. Pura e semplice strategia. Un’attenta analisi ed una riflessione su scala europea non sono più rinviabili.
Non è mai troppo tardi per mettere in campo misure finalmente unitarie e condivise. Quante le risorse sottratte ad oggi alla sicurezza, sacrificate sull’altare del rigore di una moneta unica senza politica? Quanti i fondi tagliati linearmente al welfare che lasciano le culle vuote, le politiche dell’integrazione inespresse e quelle del lavoro inattive?
Il neoliberismo sfrenato e l’abbattimento delle tutele non ci porteranno da nessuna parte. Al contrario, accresceranno le sacche di povertà, marginalità e malcontento all’interno delle nostre città, odiate e presidiate dall’interno e dall’esterno, affacciate sui mari ormai ridotti ad un cimitero. Mohamed non è soltanto un fanatico imbottito di tritolo, è anche l’onesto operaio che incontriamo tutti i giorni nei cantieri. Rigorosamente a nero s’intende, sotto padrone e sotto scacco.
La caccia alle streghe non ci porterà lontano, con le armi spuntate della memoria breve e della vista corta questa guerra la perderemo, e con essa la nostra identità.