Il settore delle costruzioni ha avuto negli ultimi anni una contrazione di commesse sia pubbliche che private, determinando una crisi occupazionale in particolare tra i lavoratori immigrati.
Il settore delle costruzioni ha avuto negli ultimi anni una contrazione di commesse sia pubbliche che private, determinando una crisi occupazionale in particolare tra i lavoratori immigrati.
di Fabrizio Franceschilli, Segretario Provinciale Feneal Uil LazioIl settore delle costruzioni ha avuto negli ultimi anni una contrazione di commesse sia pubbliche che private, determinando una crisi occupazionale in particolare tra i lavoratori immigrati.
Questo fenomeno è in linea con il processo di deindustrializzazione che interessa il nostro Paese in settori come il meccanico e il tessile, ma che si è esteso con i suoi effetti anche nel nostro settore ed in modo particolare nel comparto del legno e dell’arredamento, nei laterizi e nei manufatti, nei lapidei e nel cemento.
Il settore del legno rappresenta nel nostro territorio un’industria manifatturiera profondamente in crisi in quanto sottoposta alla concorrenza mondiale, in modo particolare dalla zona asiatica. Ma soprattutto ha risentito di una politica miope delle imprese che, alle logiche di mercato, hanno risposto con il taglio dei costi e l’inevitabile chiusura degli stabilimenti, con forti ripercussioni sull’occupazione.
In questo comparto mancano inoltre degli studi adeguati sulle esigenze di mercato nazionale e locale, ed un approfondito monitoraggio per una maggiore visibilità che sappia affrontare situazioni di crisi recessiva.
Nella Provincia di Roma assistiamo ad una parcellizzazione delle aziende che affrontano l’attuale crisi grazie agli ammortizzatori sociali attualmente disponibili, ma senza una ricetta per il futuro. A testimonianza di ciò è l’assenza delle associazioni imprenditoriali che dovrebbero fare fronte comune contro l’attuale emergenza.
Altro comparto che vive una situazione di crisi è quello dei laterizi e manufatti, anch’esso attanagliato dalla spirale prodotta dalla globalizzazione e da una visione di politiche aziendali indirizzate al profitto veloce, e nulla o poco verso gli investimenti in nuove tecnologie e tantomeno sulla formazione professionale, a conferma della poca lungimiranza. Temi questi che, se fossero stati affrontati in periodi antecedenti alla crisi, oggi avrebbero portato a situazioni meno dolorose.
Anche il settore dei lapidei in Italia sta attraversando un momento di difficoltà che contrasta con un bilancio positivo a livello mondiale, e questo è dovuto – in modo particolare – ad un calo delle esportazioni dei materiali. Anche nel nostro territorio si è avvertito questo fenomeno che, nel migliore dei casi, ha visto le aziende fare ricorso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria e, nel peggiore dei casi, le ha costrette a delocalizzare la produzione con forti ripercussioni occupazionali. Ciò è quanto avvenuto nel distretto industriale del travertino nelle località di Tivoli-Guidonia, che pure non ha impedito alla Feneal di stipulare nel 2010 con la controparte imprenditoriale il rinnovo del contratto interaziendale territoriale. Contratto che ha prodotto aumenti salariali legati alla produttività per i prossimi tre anni (2010-2012), pari a circa 2.950,00 euro a regime per una platea di circa 800 lavoratori.
In questi ultimi anni le cave che si trovano sul territorio di Tivoli-Guidonia sono state soggette ad un “linciaggio” mediatico e politico in quanto viene sostenuto da alcuni studiosi in geologia e da politici locali che le sollecitazioni del pompaggio delle cave per l’escavazione del travertino siano la causa dell’abbassamento della falda acquifera che determina i cedimenti del terreno con effetti lesivi alle abitazioni.
Una bufera politica, sociale ed economica che ha coinvolto il Governo centrale fino a concedere dall’ottobre del 2006 al mese di luglio 2010 lo stato di emergenza, con il rischio di chiusura per le attività produttive dell’escavazione del travertino.
Le reazioni che si sono scatenate, tra le quali quelle del movimento dei lavoratori, non si sono fatte attendere. Abbiamo chiesto l’apertura di tavoli istituzionali a vari livelli (locale, regionale, prefettizio) per trovare soluzioni idonee alla salvaguardia dei posti di lavoro e alla sicurezza degli abitanti delle case lesionate.
Sono stati effettuati supplementi di indagini geologiche nel territorio Tivoli-Guidonia per avere maggiore chiarezza sul fenomeno e trovare le soluzioni più adeguate. Abbiamo inoltre chiesto alla Regione che ci siano delle certezze per il settore con l’approvazione del PRAE (Piano regionale delle attività estrattive) avvenuto il 20 aprile 2011 dopo un’attesa di decenni.
Ma lo stato di soddisfazione per l’approvazione del PRAE è inferiore alle aspettative dei lavoratori per un vero rilancio produttivo e occupazionale.
Altro comparto, che per numero di società e impianti in esercizio viene considerato di rilevante importanza per il settore delle costruzioni, è l’industria del cemento.
A Roma e Provincia il numero di società cementiere sono 4 di cui 3 sono di livello internazionale: Buzzi Unicem, Italcementi e Cementir occupano complessivamente circa 550 addetti.
Occorre porre una particolare attenzione al processo di produzione del cemento in quanto nell’industria manifatturiera è tra quelli a maggior uso di energia. Infatti le risorse finanziare destinate ad un livello tecnologico molto elevato garantiscono una qualità del prodotto superiore agli standard normativi, oltre a grandi vantaggi ambientali.
L’attuazione del protocollo di Kyoto e la conseguente gestione del piano nazionale di assegnazione di quote di CO2 all’industria del cemento dovrà essere nei prossimi anni inferiore ai fabbisogni, e ciò comporterà ripercussioni sulla competitività del comparto e di tutto il settore delle costruzioni, con l’effetto che si farà ricorso a maggior cemento d’importazione da Paesi non soggetti al Protocollo di Kyoto. Inoltre, mancando all’appello un quantitativo di tonnellate di milioni di produzione di cemento all’anno, si potrà verificare per alcuni stabilimenti la sospensione temporanea dei forni, con il conseguente blocco degli accordi di gruppo per il 2° livello di contrattazione relativi al Premio di produzione. Per alcuni stabilimenti ciò equivale a chiuderli, con conseguenze facilmente immaginabili sul piano occupazionale e sociale.