Una festa lieta con un tempo mite, che si accompagna a quella primavera che anticipa l’estate. Così, tradizionalmente, è sempre stato il Primo maggio, dal momento della sua costituzione ad oggi. L’origine della festa viene fatta risalire ad una manifestazione organizzata negli Stati Uniti dai «Cavalieri del lavoro» (Knights of Labor, associazione fondata nel 1869) a New York il 5 settembre 1882. Due anni dopo, nel 1884, in un’iniziativa simile, i Cavalieri del lavoro approvarono una risoluzione affinché l’evento avesse una cadenza annuale. Altre organizzazioni sindacali, affiliate all’Internazionale dei lavoratori suggerirono come data della festività il primo giorno di maggio.
Una festa lieta con un tempo mite, che si accompagna a quella primavera che anticipa l’estate. Così, tradizionalmente, è sempre stato il Primo maggio, dal momento della sua costituzione ad oggi. L’origine della festa viene fatta risalire ad una manifestazione organizzata negli Stati Uniti dai «Cavalieri del lavoro» (Knights of Labor, associazione fondata nel 1869) a New York il 5 settembre 1882. Due anni dopo, nel 1884, in un’iniziativa simile, i Cavalieri del lavoro approvarono una risoluzione affinché l’evento avesse una cadenza annuale.
Altre organizzazioni sindacali, affiliate all’Internazionale dei lavoratori – quindi vicine ai movimenti socialisti ed anarchici – suggerirono come data della festività il primo giorno di maggio. A consolidare quella che, passo dopo passo, divenne una tradizione che andò consolidandosi anche al di fuori degli Stati Uniti, furono poi le celebrazioni per i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago, dove in una serie ripetuta di tumulti alcuni lavoratori persero la vita.
In Europa la festività del Primo maggio fu ufficializzata dai delegati socialisti della Seconda Internazionale riuniti a Parigi nel 1889 e ratificata in Italia due anni dopo. La rivista La Rivendicazione, pubblicata a Forlì, cominciava così l’articolo Pel primo Maggio, uscito il 26 aprile 1890: «Il Primo maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento». Soppressa dal fascismo, che la sostituì con il 21 aprile, data coincidente con il cosiddetto «Natale di Roma», riprese vigore e importanza dal 1945 divenendo, per definizione, il momento in cui tutte le istanze del variegato mondo del lavoro trovavano espressione.
Quindi il lavoro e, di immediato riflesso, i lavoratori. Ma si mastica amaro, oggi. Il lavoro non solo manca, e con esso i redditi che procura, ma ha perso molta della sua considerazione sociale. Conta di meno e, quindi, contano di meno coloro che con esso ci devono vivere. A ben guardare sono e rimangono la stragrande maggioranza degli abitanti di questo pianeta. Il lavoro non è scomparso, semmai è mutato radicalmente. Non è venuto meno ma è senz’altro diminuita la sua rilevanza nel definire i ruoli sociali e la capacità di contrattare diritti collettivi, quanto meno in Europa. Si è parcellizzato, scomposto in tante molecole. Fatto in sé drammatico poiché la nostra stessa Costituzione fissa, a partire dall’articolo 1, e in una serie di norme conseguenti, la sua inderogabile centralità. Ci troviamo ad un bivio: ci stiamo interrogando su ciò che già più non siamo ma ancora non abbiamo capito che cosa saremo.
Rimarremo lavoratori perché dovremo continuare a vivere della nostra fatica, del nostro impegno, delle nostre lotte. Abbiamo un passato glorioso alle spalle. Nulla ci è stato regalo, tutto lo abbiamo dovuto conquistare. Non possiamo però pensare solo al nostro passato, magari sviluppando la “sindrome dei traditi”, quell’atteggiamento di falsa coscienza per cui si imputa alla responsabilità di qualcuno le trasformazioni del presente. Il sistema di produzione capitalista è in sé rivoluzionario, trasformandosi perennemente e avendo una capacità di rigenerarsi che non ha pari nella storia umana. Anche per questo ha vinto su esperimenti alternativi, come quello sovietico.
Oggi ci sfida ad una rivoluzione, quella dell’organizzazione dei diritti e della redistribuzione della ricchezza prodotta. È una sfida non solo italiana ma mondiale. Tirarci indietro equivarrebbe perdere a priori. Abbiamo affrontato momenti difficili, sapremo confrontarci anche con il tornante che stiamo attraversando. Buon Primo maggio a tutti noi.