Anche se non sembra, la situazione della vigilanza sulla sui luoghi di lavoro è estremamente molto problematica. Nonostante il numero di decessi e di infortunati in alcuni settori sembra calare, la realtà è più complessa. Il decremento degli incidenti è dovuto all’effetto congiunto della crisi economica (con il calo di occupati), e all’aumento del lavoro in nero, dove si fa di tutto per eludere le norme di sicurezza e nascondere eventuali sinistri. Sul piano tecnico la competenza in materia spetta ai servizi di prevenzione delle Asl a cui sono state affidate le funzioni originariamente appartenenti agli Ispettorati provinciali del Lavoro.
Anche se non sembra, la situazione della vigilanza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro è molto problematica. Nonostante il numero di decessi e di infortunati in alcuni settori sembra calare, la realtà è più complessa. Il decremento degli incidenti è dovuto all’effetto congiunto della crisi economica (con il calo di occupati), e all’aumento del lavoro in nero, dove si fa di tutto per eludere le norme di sicurezza e nascondere eventuali sinistri. Sul piano tecnico la competenza in materia spetta ai servizi di prevenzione delle Asl a cui sono state affidate le funzioni originariamente appartenenti agli Ispettorati provinciali del Lavoro. Il Ministero è tornato nuovamente organo di vigilanza, con una deroga soltanto per il settore dell’edilizia dal 1997. Questo passaggio di consegne, che ha instaurato un sistema duale dove le Regioni e il Ministero sono in competizione, rende di difficile attuazione qualsiasi monitoraggio sistematico del territorio. A ciò si aggiungono i comitati ministeriali e interministeriali che dovrebbero verificare, garantire e promuovere una “cultura della sicurezza” ma che spesso si fanno la guerra tra loro. L’istituzione e il concreto insediamento di Comitati regionali competenti in materia, previsti dal Testo unico n° 61 del 2008, si sono realizzarti in maniera discontinua e con discrezionalità, impedendo di unificare i riscontri. All’interno di questi, il tasso di conflittualità ha impedito di frequente che operassero in sintonia con gli obiettivi per cui sono stati istituiti. E i controlli si sono rilevati irrisori. Se la soglia minima dovrebbe riguardare almeno il 5% delle aziende, in molte regioni non è così. In totale, nel 2010, sono state 162.525 le aziende (sommando tutti i comparti produttivi) visitate dalle Asl, con un numero di violazioni di 53.939, pari a circa un terzo. Non si può dimenticare che l’intera platea in Italia conta oltre due milioni di imprese con dipendenti. Mancano gli ispettori e i mezzi di ispezione. Abilitati a tali funzioni sono poco più di 5.500 uomini, molti dei quali senza qualifica. In molte realtà del Paese le imprese sono certe di operare in un vuoto di verifiche e, quindi, nell’impunità. Per coloro che invece vengono “pizzicati” esiste l’istituto della «prescrizione obbligatoria», con il quale il contravventore può estinguere il reato adempiendo alla prescrizioni e pagando un quarto dell’ammenda comminatagli. Si tratta da più punti di vista di un assurdo giuridico, poiché in tale mondo lo Stato abdica alla sua potestà sanzionatoria. Va da sé che il 90% delle imprese colte in fallo vi faccia ricorso, sanando la trasgressione a buon prezzo (e poi ricominciando a commettere irregolarità). Vi sono poi le norme non applicate (per le quali l’Italia rischia una procedura d’infrazione da parte europea), l’impreparazione della magistratura (su 165 Procure della Repubblica solo 18 hanno un pool di magistrati specializzati) e l’insensibilità degli operatori, che a volte considerano gli incidenti sul lavoro un reato meno rilevanti di altri. Da ultimo, in questo quadro poco edificante, si aggiunge l’ennesima proroga, decisa nell’ultima Legge di Stabilità, uno degli atti finali del governo Monti : l’autocertificazione della valutazione dei rischi delle imprese che occupano fino a dieci lavoratori. Una norma che doveva decadere il 30 giugno 2012, poi il 31 dicembre 2012 ed è stata prolungata fino al 30 giugno 2013. In tale modo è permesso ai datori di lavoro infedeli di continuare a certificare, senza riscontri e sanzioni, una regolarità inesistente. Fatto tanto più grave se si pensa che nel 2010 circa l’80% degli infortuni mortali è avvenuto proprio nelle aziende medie e piccole.