Le crisi, è risaputo, sono quei momenti in cui le vecchie certezze vengono messe in discussione, e in più di un caso, archiviate. Il rischio, a conti fatti, è di rimanere sprovvisti di idee. Eppure non è detto che debba essere sempre così. La conclusione del mandato della giunta Alemanno a Roma è segnata, sul piano urbanistico, dal tramonto di una serie di progetti che erano stati pensati come una proposta di ampio respiro e che tuttavia tradivano l’impatto cementifero che portavano con sé: dalla ricostruzione ex novo di Tor Bella Monaca al Waterfront di Ostia, passando per il rilancio del Corviale, la densificazione di una ventina di piani di zona, il progetto per l’area dell’ex Velodromo.
Le crisi, è risaputo, sono quei momenti in cui le vecchie certezze vengono messe in discussione, e in più di un caso, archiviate. Il rischio, a conti fatti, è di rimanere sprovvisti di idee. Eppure non è detto che debba essere sempre così. La conclusione del mandato della giunta Alemanno a Roma è segnata, sul piano urbanistico, dal tramonto di una serie di progetti che erano stati pensati come una proposta di ampio respiro e che tuttavia tradivano l’impatto cementifero che portavano con sé: dalla ricostruzione ex novo di Tor Bella Monaca al Waterfront di Ostia, passando per il rilancio del Corviale, la densificazione di una ventina di piani di zona, il progetto per l’area dell’ex Velodromo, il sottopasso dell’Ara Pacis, la pedonalizzazione del Tridente e altro ancora.
Progetti caratterizzati dal gigantismo finanziario, da una esposizione oramai insostenibile per le casse pubbliche ma anche dall’affastellamento di idee e ambizioni che non sempre si conciliavano con le esigenze, i tempi e gli stessi luoghi di una metropoli moderna, con molte isole di arcaicità, qual è la Capitale. Più in generale, il combinato disposto tra vincoli di spesa e urgenze sociali dovrebbe indurre, chi subentrerà all’amministrazione uscente, ad un ripensamento globale delle politiche urbanistiche. Non si tratta di riscoprire che “piccolo è bello” ma di rivedere il rapporto con il territorio sulla base di pochi principi, molto chiari, a partire dal concetto di eco-sostenibilità.
Il quale rinvia a progetti di scala basati sulla rigenerazione urbana possibile, che coniughi risorse concretamente a disposizione, patrimonio esistente e nuove destinazioni del medesimo, in base ai mutamenti socio-demografici ed economici che interessano Roma e, più in generale, tutte le città italiane. Basti pensare che il 70 per cento della popolazione peninsulare vive in un agglomerato urbano-metropolitano, di piccole, medie e grandi dimensioni. Le stesse città producono otto decimi della ricchezza nazionale.
La riqualificazione urbana di Roma e delle altre città italiane può quindi rappresentare in questo senso un’occasione fondamentale per il futuro della nostra economia, cercando di porre un freno a quei processi di crescita spontanea che, oltre una certa soglia, ingenerano anarchia a tutti i livelli. Tuttavia, per restituire al Paese città vivibili e inclusive, pensate in funzione delle esigenze di chi vi abita, sono anzitutto necessari una governance capace e sensibile, una nuova legge sulle opere pubbliche, differente dall’attuale groviglio normativo, regole certe per tutti e dovunque contro l’abusivismo.
Non da ultimo, anche il coinvolgimento attivo dei cittadini, ad esempio attraverso la certificazione degli edifici. Sarebbero i primi passi di un percorso comunque lungo, dove l’edilizia, in tutte le sue articolazione, non viene più associata alle tradizionali colate di cemento ma alla tutela e alla messa in opera del territorio come risorsa umana, prima ancora che economica.