La Feneal che uscì dal quarto congresso, quello di Napoli del febbraio 1964, era un'organizzazione più forte e determinata poiché maggiormente consapevole di sé.
Erano passati poco più di una decina d'anni dalla sua fondazione ma il quadro di riferimento era profondamente mutato. Al suo interno il sindacato edile aveva conosciuto una trasformazione robusta, superando, passo dopo passo, il periodo della marginalità e dell'inevitabile dilettantismo, quando ancora non sapeva bene come muoversi.
Ora era un soggetto della contrattazione accreditato, al pari delle organizzazioni omologhe della Cisl e della Cgil.
La Feneal che uscì dal quarto congresso, quello di Napoli del febbraio 1964, era un’organizzazione più forte e determinata poiché maggiormente consapevole di sé.
Erano passati poco più di una decina d’anni dalla sua fondazione ma il quadro di riferimento era profondamente mutato. Al suo interno il sindacato edile aveva conosciuto una trasformazione robusta, superando, passo dopo passo, il periodo della marginalità e dell’inevitabile dilettantismo, quando ancora non sapeva bene come muoversi.
Ora era un soggetto della contrattazione accreditato, al pari delle organizzazioni omologhe della Cisl e della Cgil.
La Feneal che uscì dal quarto congresso, quello di Napoli del febbraio 1964, era un’organizzazione più forte e determinata poiché maggiormente consapevole di sé.
Erano passati poco più di una decina d’anni dalla sua fondazione ma il quadro di riferimento era profondamente mutato. Al suo interno il sindacato edile aveva conosciuto una trasformazione robusta, superando, passo dopo passo, il periodo della marginalità e dell’inevitabile dilettantismo, quando ancora non sapeva bene come muoversi.
Ora era un soggetto della contrattazione accreditato, al pari delle organizzazioni omologhe della Cisl e della Cgil.
Non era stato facile, avendo dovuto superare il complesso del “fratellastro minore”, una sindrome che da sempre accompagna nel nostro Paese le organizzazioni riformiste e laiche.
Sul piano esterno, in poco più di un decennio si era transitati dalla precarietà e dalla miseria del dopoguerra ad un’espansione economica senza pari.
I costruttori si erano arricchiti e i lavoratori non erano più disposti ad abbassare la schiena. Un fatto che si legava senz’altro alla maturazione della coscienza di sé ma anche all’esistenza di organizzazioni come la Feneal, che questa consapevolezza la coltivava e la traduceva in rivendicazioni collettive.
Il sindacato di quegli anni era sempre meno relegabile ad un attore meramente economico, e sempre di più andava assumendo le vesti di un soggetto nella costruzione della società repubblicana. Il punto forte della strategia messa a fuoco con il IV Congresso era la contrattazione articolata, ovvero il diritto dei rappresentanti dei lavoratori a stipulare accordi integrativi rispetto al contratto di categoria e a trattare in seconda istanza le vertenze non risolte a livello aziendale.
A questo esito si era pervenuti nel confronto degli elettromeccanici con l’Intersind, quando la trattativa sfociò nell’accordo del 1960, un precedente che aveva fatto scuola per tutte le altre componenti del mondo del lavoro e del sindacato.
Mentre l’atteggiamento prevalente tra i datori di lavoro era quello di pervenire il più possibile ad una centralizzazione contrattuale, la risposta sindacale batteva invece il chiodo della diversificazione, cercando di stabilire e consolidare una pluralità di accordi, in modo da cercare di dare vita ad una intelaiatura di rapporti dei quali i loro rappresentati avrebbero beneficiato sia in termini di salario che di potere contrattuale.
Insieme alla contrattazione articolata si aggiungeva la ricerca di formule adatte a far acquisire ai lavoratori premi di produzione corrispondenti il più possibile alle qualità e alla quantità delle loro prestazioni.
A fianco dell’impegno che nel congresso era stato sostenuto per identificare, trattare e definire tutta una serie di priorità programmatiche (trattamenti economici, premi di produzione, orari, sicurezza dei e nei cantieri, tutele previdenziali e così via) si era affiancato lo sforzo organizzativo interno.
Nel 1964 la Feneal poteva contare su 35mila iscritti, con un trend di adesioni in crescita. Non di meno la formazione dei quadri aveva conosciuto un deciso miglioramento. Gli obiettivi, al riguardo, erano due: il primo era emancipare i sindacalisti del settore dall’idea, all’epoca ancora molto diffusa, che l’edilizia – e quanti vi lavoravano – fosse il “parente povero” dell’industria, per la quale non necessitava una particolare preparazione professionale e culturale; il secondo era rendere la Feneal una delle organizzazioni di avanguardia dell’intera Uil, giocando poi la carta nel rapporto con le altre confederazioni.
Non a caso, tra i diversi temi affrontati nel congresso, non c’era solo quello dell’unificazione europea, che andava allora assumendo un peso sempre maggiore nelle scelte politiche dei Paesi del continente, ma anche quello dell’unità sindacale che, se ancora non era una realtà in Italia, tuttavia andava prefigurandosi come una concreta possibilità. Da questo punto di vista il sindacato edile aveva qualcosa da dire alla propria segreteria confederale, intuendo le opportunità che dalla concertazione con gli altri sindacati sarebbero derivate, soprattutto in termini di concreti benefici per le rivendicazioni dei lavoratori, avendo un maggiore potere contrattuale davanti alla controparte padronale. E questo in particolar modo dinanzi alla tiepidezza di certi comportamenti, alla ritrosia con la quale molti affrontavano quella che poteva diventare una grande occasione.
Luciano Rufino, riconfermato segretario generale della Feneal (così come l’intera organizzazione), dovette peraltro rituffarsi da subito nella lotta. Una battaglia importante fu quella condotta dai cementieri per vedere riconosciuta nei fatti la conquista contrattuale del premio di produzione aziendale. Tra fasi alterne e momenti anche aspri si raggiunse anche il rinnovo del contratto per il comparto dei manufatti in cemento. E tuttavia tra il 1964 e il 1965 ciò che stava condizionando sempre di più l’orizzonte delle relazioni industriali era, da un lato, l’immobilismo governativo, che era succeduto alle speranze alimentate dal varo del primo governo di centro-sinistra; e, dall’altro, l’azione della Cgil basata su una forte mobilitazione conflittuale, che rendeva più difficile la soluzione negoziata di molte vertenze, soprattutto quelle nei cantieri in crisi, dove l’alternativa era il licenziamento in tronco dei lavoratori.
Claudio Vercelli