La lunga e sofferta sequenza negativa, che aveva contraddistinto il settore delle costruzioni tra la fine del 1963 e il 1966, finalmente terminò. Già in quell’ultimo anno i segni di una ripresa si erano manifestati. Peraltro, a partire dal 1964, laddove la crisi aveva morso i freni e duramente, l’espulsione di forza lavoro dai cantieri era divenuta la norma.
In un solo anno, nel 1965, 200mila posti di lavoro andarono in tal modo bruciati.
Coloro che erano rimasti nei loro luoghi di lavoro si erano poi dovuti confrontare con una secca trasformazione delle condizioni di vita: politiche di contenimento dei salari.
La lunga e sofferta sequenza negativa, che aveva contraddistinto il settore delle costruzioni tra la fine del 1963 e il 1966, finalmente terminò. Già in quell’ultimo anno i segni di una ripresa si erano manifestati. Peraltro, a partire dal 1964, laddove la crisi aveva morso i freni e duramente, l’espulsione di forza lavoro dai cantieri era divenuta la norma.
In un solo anno, nel 1965, 200mila posti di lavoro andarono in tal modo bruciati.
Coloro che erano rimasti nei loro luoghi di lavoro si erano poi dovuti confrontare con una secca trasformazione delle condizioni di vita: politiche di contenimento dei salari; aumento dei ritmi del lavoro; larga (e compiaciuta) disapplicazione, nonché violazione, delle norme contrattuali su orari, qualifiche, sicurezza, oneri previdenziali e assicurativi; svuotamento della contrattazione aziendale; frazionamento della forza lavoro attraverso la scomposizione delle unità produttive, il ricorso ai cottimisti e al subappalto. I risultati ottenuti dal Sindacato nei rinnovi contrattuali del 1961 e del 1963 furono quindi in parte svuotati, soprattutto sul versante retributivo. Un criterio molto comune era quello di effettuare pagamenti «fuori busta», insieme all’impedimento alla contrattazione del salario a rendimento. Il contratto nazionale di lavoro del 1966 fu pertanto sottoscritto tra le innumerevoli resistenze dell’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, punta di diamante di una vera e propria risposta conservatrice ai tentativi di trasformazione introdotti dai governi di centro-sinistra.
Già si è detto di come la renitenza degli industriali del settore non fosse solo di ordine economico, ossia remunerativo, ma si saldasse con intenzioni politiche dal segno dichiaratamente reazionario.
Tra il 1965 e il 1966, tuttavia, erano state prodotte più di due milioni di tonnellate di cemento, segno che il comparto stava riprendendo vigore.
Ai rifiuti padronali si era alternata e contrapposta la resistenza sindacale. La firma del contratto, nell’ottobre del 1966, fu il punto terminale di un confronto durissimo. Nel complesso, la previsione era che i salari sarebbero aumentati del 4% per l’anno entrante e del 7% per quello successivo, fino ad arrivare all’11% nel 1969.
Questi aumenti a tabella erano comprensivi di due ore di riduzione dell’orario di lavoro settimanale, fissate a 44 ore/settimana di media annua a partire dal 1° gennaio del 1968 e, con l’anno successivo, a 43. Veniva inoltre riconosciuto l’istituto dell’anzianità cantiere feneal 11 6 • Giugno 2013 di mestiere, costituito attraverso l’apposito accantonamento di un contributo, a carico dei datori di lavoro, pari all’1% della retribuzione per il 1968 e al 2% per il 1969. In tale modo, se da un lato si voleva agevolare ed incentivare la permanenza dei lavoratori nei cantieri (evitando la loro fuga e dispersione in altri comparti industriali, fattore che in sé indeboliva la capacità contrattuale delle maestranze), dall’altro si intendeva ovviare alla persistente impossibilità per gli operatori del settore di cumulare i periodi di anzianità.
La contrattualizzazione delle prestazioni assistenziali delle Casse edili, altro risultato contrattuale, avrebbe poi permesso ai sindacati provinciali di procedere, attraverso singoli accordi, alla fissazione della decorrenza delle specifiche prestazioni che ci si apprestava ad istituire. Si trattava di investire di nuove funzioni le Casse Edili, in quanto soggetti del bilateralismo, vissuti dalla parte datoriale con sostanziale diffidenza se non con indisponibilità, dando al singolo lavoratore il diritto di richiedere le relative prestazioni al suo datore, quand’anche quest’ultimo non avesse adempiuto ai suoi obblighi verso le medesime Casse. In tale modo si cercava infine di contrattualizzare le prestazioni di queste, per porre un termine alle numerose opposizioni, in sede legale e giurisdizionale, espresse contro la legittimità del loro operato. Questioni a sé erano poi la regolamentazione dei cottimi, i lavori disagiati, le qualifiche, l’addestramento professionale, i diritti sindacali nei posti di lavoro.
Lo sforzo della Feneal era stato quello di incentivare in tutti i modi possibili le pratiche di consultazione e pariteticità. Soprattutto sul regime dei cottimi, utilizzati per disarticolare e quindi indebolire la forza contrattuale delle unità produttive, si convenne di istituire una commissione tecnica paritetica per lo studio dei problemi riguardanti la disciplina di questa forma specifica di prestazione.
La questione si legava anche al problema, irrisolto, del regime dei subappalti, a partire da quello della manodopera, che non troverà comunque nessuna reale soluzione, trattandosi di una forma troppo redditizia per chi la praticava, a partire dalle grandi imprese.
Il contratto si concludeva con l’assunzione delle cosiddette «quote di servizio», una trattenuta percentualizzata sugli accantonamenti dei lavoratori per ferie, festività e gratifica natalizia depositati presso le Casse Edili.
Alle organizzazioni sindacali era data la possibilità di concordare, di provincia in provincia, la trattenuta e la correlativa redistribuzione alle diverse organizzazioni, in quanto metodo sostitutivo al sistema delle «deleghe». In tale modo il sindacato veniva così finanziato da tutti i lavoratori effettivamente appartenenti alla specifica categoria di riferimento. Nel complesso, dopo i marosi degli anni precedenti, il contratto risultava un buon risultato portato a casa.
È certo che a ciò aveva contribuito il clima di cambiamento e di mobilitazione che stava attraversando il Paese. Fondamentale era stata la spinta prodotta dalle lotte dei metalmeccanici, che stavano esercitando una sorta di effetto di trascinamento. Non di meno ai lavoratori edili, e ai loro sindacati, era stato chiesto di uscire dalla dimensione meramente rivendicativa, di per sé pur indispensabile, per cercare di ragionare sui bisogni non solo del settore ma di un intero Paese, che andava trasformandosi e in maniera repentina.
Claudio Vercelli