La memoria di un sindacalista, l’impegno di un uomo
Mentre l’estate iniziava a congedarsi da noi, ci ha lasciati repentinamente e per sempre Antonio Correale, Segretario generale Nazionale della Feneal Uil. Da tempo malato, aveva comunque proseguito il suo lavoro fino all’ultimo, impegnandosi giorno dopo giorno nell’attività in prima linea del sindacato edile.
Era nato 65 anni fa, aveva studiato ingegneria meccanica e, prima di diventare quadro e poi dirigente sindacale, aveva lavorato come docente nella formazione professionale. La sua biografia, come spesso capita in questi casi, è per più aspetti lo specchio della storia collettiva della Feneal, della Uil e, con esse, dei lavoratori che il nostro sindacato rappresenta.
La memoria di un sindacalista, l’impegno di un uomo
Mentre l’estate iniziava a congedarsi da noi, ci ha lasciati repentinamente e per sempre Antonio Correale, Segretario generale Nazionale della Feneal Uil. Da tempo malato, aveva comunque proseguito il suo lavoro fino all’ultimo, impegnandosi giorno dopo giorno nell’attività in prima linea del sindacato edile.
Era nato 65 anni fa, aveva studiato ingegneria meccanica e, prima di diventare quadro e poi dirigente sindacale, aveva lavorato come docente nella formazione professionale. La sua biografia, come spesso capita in questi casi, è per più aspetti lo specchio della storia collettiva della Feneal, della Uil e, con esse, dei lavoratori che il nostro sindacato rappresenta. Il suo impegno era infatti maturato a Napoli, una città strategica, dove il nodo tra edilizia, urbanistica, legalità e lavoro è stringente quanto un cappio.
Nella Uil partenopea aveva fatto le sue prime esperienze per divenire nel 1978 Segretario della Feneal.
Il rapporto con un territorio dove la presenza camorrista è sempre stata una costante della storia repubblicana, implicava il confrontarsi con le innumerevoli difficoltà di rappresentare le tante istanze sociali, ed in particolare quelle dei lavoratori dell’edilizia, laddove la presenza pervasiva della criminalità faceva, e fa a tutt’oggi, da filtro ad ogni azione legalitaria. Il terremoto del 1980 che colpì l’Irpinia, causando 3.000 morti e procurando ingenti danni fino a Napoli, costituì uno spartiacque anche per lui.
Dal rapporto con la difficile ricostruzione, basata su un modello fittizio – quello del rilancio industriale in un territorio che non presentava caratteristiche produttive di quel genere – trasse elementi di durissimo giudizio.
I sindacati, ed in particolare la Feneal, furono infatti parte attiva nel tentativo di offrire alle 8 province colpite dal sisma non solo delle opportunità per la ricostruzione, ma anche e soprattutto un’occasione decisiva per uscire dallo stato di depressione economica che da sempre condizionava l’intera area.
Della pioggia di contributi che in quegli anni letteralmente cadde sulle 20 zone industriali della Campania e della Basilicata, una cifra equivalente a otto miliardi di euro di oggi, ben poco venne speso per i motivi per cui erano stati stanziati, finendo per lo più in mano a imprese che, una volta intascati i fondi pubblici, dichiaravano fallimento.
Antonio si era confrontato con quel meccanismo. Non è un caso se in tutte le interviste che ha rilasciato durante la sua quarantennale attività di sindacalista il riferimento al nesso che intercorre tra lavoro, diritti e rispetto delle regole sia qualcosa che vada al di là del ritualismo di circostanza, per richiamare l’urgenza di tale problema. In altre parole, per la Feneal non c’è produzione che tenga senza legalità, a meno che i cantieri non si trasformino in luoghi di sfruttamento schiavistico e di malaffare.
La costante presenza dalla criminalità organizzata dava purtroppo triste riscontro a questa consapevolezza. Per Antonio, e per tutti noi, costruire non ha mai implicato il cementificare, del pari a quello che invece pensano da sempre i palazzinari di turno così come i signori dell’asfalto.
Il legame con il territorio è molteplice, e già dalla prospettiva napoletana lo si intuiva: rinvia ad una proiezione sul suo futuro, che richiama il discorso della vivibilità di un ambiente che la mano dell’uomo trasforma, ma non a proprio danno, bensì per lo sviluppo e l’evoluzione della comunità locale. Anche da questa consapevolezza, di cui Antonio era espressione, insieme alla sua sensibilità e alla bontà d’animo riconosciutegli da tutti, ne era derivata l’evoluzione culturale di un dirigente sindacale che negli anni Ottanta si era confrontato sia con il mutamento dell’economia italiana (che passo dopo passo stava superando il modello industriale tradizionale) che con il cambiamento del ruolo del sindacato.
Al IX Congresso Nazionale della Uil, tenutosi a Firenze nel novembre del 1985, era entrato nel Consiglio Generale Nazionale. In quegli anni il sindacato, cui segretario era Giorgio Benvenuto, si stava impegnando nell’apertura ai cittadini. Se il lavoro costituiva un elemento insopprimibile nell’identità degli individui, non di meno la cognizione di essere parte di una società ormai complessa, stratificata – com’era divenuta quella italiana – , implicava l’aprirsi ad essa, coglierne i mutamenti strutturali ed adeguare l’azione dell’organizzazione sindacale. L’esperienza maturata in Feneal per Antonio implicava il ragionare e l’adoperarsi affinché queste trasformazioni vedessero la Feneal parte attiva.
Con il 1992 entrò quindi nella Segreteria Nazionale, allora guidata da Franco Marabottini.
Gli anni Novanta costituiscono un altro capitolo nella storia del nostro Paese e, di riflesso, nel mondo delle costruzioni. Con l’inizio del decennio, infatti, se da un lato si palesa la crisi fiscale e finanziaria che attraversa il settore pubblico, il cui debito era ormai giunto a livelli insostenibili, dall’altro si avvia il processo immigratorio che nel giro di un decennio avrebbe trasformato il mercato del lavoro edile, con l’ingresso nei cantieri di una grande quantità di lavoratori provenienti soprattutto dai Paesi dell’Europa orientale.
Per il sindacato, d’intesa con Marabottini, Antonio aveva dato avvio ad un’ampia e significativa riforma del sistema dei servizi e dell’organizzazione interna. La Feneal doveva adeguare la sua attività e la sua presenza ai mutamenti del territorio e al cambiamento della composizione della sua popolazione, a partire dai luoghi di lavoro.
In tale veste è ricordato come il principale ispiratore del «Progetto Qualità Feneal », rilanciato dal sindacato degli edili proprio in occasione del suo XV congresso, nel gennaio del 2010. Tra i punti più significativi del progetto (nel quale aveva profuso molte energie, essendo divenuto nel frattempo Segretario Nazionale Organizzativo), l’impegno di ogni struttura Feneal in Italia ad assicurare «una costante presenza nei luoghi di lavoro, laddove si realizza il rapporto diretto con tutti i lavoratori iscritti e non, e dove si mostra la professionalità del dirigente sindacale, nell’azione della tutela contrattuale e della rappresentanza, utile a ricavare rispetto e considerazione per la nostra organizzazione».
Proprio nel congresso di Catania del 2010, Antonio Correale era stato quindi eletto da una platea di quattrocento delegati Segretario generale della Feneal Uil.
Lo è stato fino all’ultimo istante della sua vita, coerente con le ragioni del suo impegno, che hanno coinciso con quelle della sua esistenza.
Claudio Vercelli